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"Il compagno di viaggio" - 12 giugno 2008

C'era una volta un giovane contadino che una notte sognò di sposare una principessa di un paese lontano lontano, una principessa bianca come il latte e rossa come il sangue, una principessa così ricca che le sue ricchezze non avrebbero mai dovuto aver fine. Quando si svegliò, gli sembrava di vedersela ancora davanti, così dolce e così bella che non pensava di poter vivere senza sposarla. Vendette dunque tutto quello che possedeva e se ne andò per il mondo alla sua ricerca.

Cammina cammina, e poi cammina ancora, arrivò nell'inverno in un paese dove tutte le strade erano dritte e non svoltavano mai. Dopo esser andato sempre avanti per circa tre mesi, giunse a una città: davanti alla porta della chiesa c'era un grosso blocco di ghiaccio con dentro un cadavere, e tutti i parrocchiani, passandoci davanti, ci sputavano sopra.

Il ragazzo si stupì molto, e quando il prete uscì di chiesa gli domandò che cosa era quella faccenda.

- Si tratta di un gran mascalzone, - rispose il prete, - è stato giustiziato per la sua empietà, e poi lo hanno messo lì alla berlina.
- Ma che cosa ha fatto? - chiese il ragazzo.
- Da vivo faceva il mestiere di sturar le botti, e mischiava sempre acqua col vino.

Al ragazzo non sembrò poi che si trattasse di un gran delitto: dato che l'aveva scontato con la morte, gli sembrava che avrebbero ben potuto seppellirlo in terra benedetta e lasciarlo in pace, oramai che era morto.

Ma il prete rispose di no, non andava, non era assolutamente possibile: ci sarebbe voluta della gente per tirarlo fuori dal ghiaccio, ci sarebbero voluti dei quattrini per pagare alla chiesa un pezzo di terra benedetta, per scavar la tomba il becchino avrebbe voluto del denaro, il proprietario della chiesa avrebbe chiesto di esser pagato per le campane, il sacrestano per cantare e il prete per la benedizione.

- E tu credi che ci sia qualcuno disposto a sborsare tanto denaro per un peccatore giustiziato? - chiese.

Il ragazzo rispose di sì: solo che fosse riuscito a vederlo sottoterra avrebbe pagato lui anche il banchetto funebre, con quel poco che aveva.

Così tirarono fuori lo sturatore di botti dal ghiaccio e lo deposero in terra benedetta, suonarono le campane e cantarono, il prete gettò una manciata di terra sulla tomba, e poi bevvero tanto tutti che ora piangevano e ora ridevano.

Una volta pagata la birra, però, al ragazzo restarono ben pochi soldi in tasca.
Allora si rimise in cammino, ma non aveva fatta molta strada che lo raggiunse un uomo e gli chiese se non gli sembrava triste andare solo solo.
Non gli sembrava no, perché aveva sempre qualcosa a cui pensare, rispose il ragazzo.

Ma di un servitore avrebbe potuto aver bisogno lo stesso - propose l'uomo.

- No, - dichiarò il ragazzo, - sono abituato a servirmi da solo, e anche se volessi non avrei denaro sufficiente, non potrei né mantenerlo né dargli uno stipendio.
- Di un servitore hai bisogno, lo so meglio di te, - affermò l'uomo, - e hai bisogno di uno di cui tu possa fidarti ciecamente. Se non mi vuoi prendere come servitore, dovrai prendermi come compagno di viaggio, ti assicuro che ti converrà: non ti costerà un soldo: alle spese per me ci penserò io, e tu non dovrai preoccuparti né di darmi da mangiare né di vestirmi.

A quelle condizioni gli sarebbe piaciuto sì di averlo come compagno di viaggio.
Da allora in poi non si divisero mai, e l'uomo andava per lo più avanti per primo, indicando la strada.

Dopo aver viaggiato per un bel pezzo attraverso paesi, monti e altopiani giunsero a una montagna che sbarrava loro il passo. Allora il compagno di viaggio bussò, ordinando di aprire. Infatti la montagna si aprì: una volta entrati, venne avanti la vecchia dei troll con una seggiola, e li invitò: - Accomodatevi, dovete essere stanchi, - disse.
- Siedi tu piuttosto! - ordinò il compagno di viaggio.
Così la vecchia dovette sedersi, e una volta seduta ci rimase, perché quella era una seggiola che non lasciava più libero chi la toccava. I due intanto se ne andarono in giro per il monte, e il compagno di viaggio si guardò attorno fino a che scorse la spada appesa sopra la porta. Voleva proprio quella; se gliela avesse data - promise - l'avrebbe liberata dalla seggiola.
- No! - gridò la vecchia. - Chiedimi piuttosto tutto quello che vuoi! Tutto, ma non la spada, è la mia spada delle tre sorelle! - Erano in tre sorelle, e quella era di tutte e tre.
- Allora puoi restartene seduta lì sino alla fine del mondo, - minacciò l'uomo.

Sentito questo, la vecchia disse di prendersela pure, purché la liberasse.
L'uomo allora afferrò la spada e se la portò via, ma lasciò la vecchia seduta dove stava.

Dopo aver camminato un bel po' attraverso montagne brulle e vasti altopiani, giunsero a un'altra montagna che sbarrava la strada. Il compagno di viaggio bussò, ordinando di aprire: tutto fu come la prima volta: la montagna si aprì, e quando i due giunsero in fondo si avanzò una vecchia dei troll con una sedia in mano e li invitò a sedersi: dovevano essere stanchi, disse.
- Siedi tu, - le ordinò il compagno di viaggio e così le successe come a sua sorella, non osò fare altrimenti, e una volta sulla sedia la vecchia dovette restarci seduta. Intanto il ragazzo e il compagno di viaggio andavano in giro per la montagna, e quello apriva tutti gli armadi e tutti i cassetti, fino a che trovò l'oggetto cercato, un gomitolo d'oro. Lo voleva avere a tutti i costi e promise alla vecchia che se glielo avesse dato l'avrebbe liberata dalla sedia. Lei disse di prendersi pure tutto quello che aveva, ma non il gomitolo, perché era il suo gomitolo delle tre sorelle. Quando però sentì che avrebbe dovuto restar lì seduta sino al giorno del giudizio se non glielo avesse dato, gli disse di prenderselo pure, purché la liberasse. Il compagno di viaggio allora afferrò il gomitolo, ma lasciò la vecchia seduta dove stava.

Camminarono così per molti giorni per altipiani e attraverso boschi, sino a che giunsero di nuovo a una montagna che sbarrava la strada. Anche lì successe come le altre due volte: il compagno di viaggio bussò, qualcuno aprì e dentro la montagna andò loro incontro una vecchia dei troll con una sedia, e li invitò a sedersi. Ma il compagno di viaggio ordinò: - Siedi tu, - e così si sedette lei. Non avevano attraversato molte stanze che quello vide un vecchio cappello appeso a un uncino dietro la porta. Lui avrebbe voluto averlo, ma la vecchia non era disposta a cederlo: era il suo cappello delle tre sorelle, e se glielo avesse ceduto sarebbe stata una vera disgrazia. Ma quando poi sentì che sarebbe dovuta rimanere lì sino alla fine del mondo se non glielo avesse dato, gli disse di prenderselo pure, purché la lasciasse libera. Una volta avuto il cappello, il compagno di viaggio le dichiarò che poteva pure restare seduta dov'era, come le sue sorelle.

Cammina cammina, giunsero a uno stretto. Allora il compagno di viaggio afferrò il gomitolo d'oro e lo gettò con forza contro la montagna che si alzava dall'altra parte, quello rimbalzò indietro, e lui lo gettò un'altra volta: dopo un po' di su e giù ecco lì davanti un ponte di fili d'oro. Così riuscirono ad attraversare lo stretto, e una volta arrivati dall'altra parte l'uomo disse al ragazzo di arrotolare nuovamente il filo più rapidamente che poteva: - Se non lo facciamo su presto arrivano le tre vecchie dei troll e ci tagliano a pezzi, - disse. Il ragazzo arrotolò il gomitolo più in fretta che poteva, era rimasto solo l'ultimo pezzo di filo, quando arrivarono di gran corsa le tre vecchie dei troll: si chinarono sull'acqua e subito si sollevò tutt'intorno un denso vapore; per quanto cercassero di afferrare un capo del filo non ci riuscirono, e così affogarono nello stretto.

Dopo aver camminato per qualche altro giorno il compagno di viaggio disse: - Fra poco arriveremo al castello dove sta lei, la principessa che hai sognato; quando saremo lì devi andare a raccontare al re il tuo sogno e dirgli lo scopo del tuo viaggio -. Il ragazzo fece così, e venne anche ben accolto, ebbe una camera per sé e una per il suo servitore, e venuta l'ora del pranzo fu invitato alla stessa tavola del re.

Appena vista la principessa la riconobbe subito; era quella che aveva sognato di sposare. Le disse allora la sua intenzione, e la ragazza rispose che lui le piaceva molto e che sarebbe stata contenta di sposarlo, ma prima - dichiarò - avrebbe dovuto superare tre prove. Dopo mangiato, lei gli diede un paio di forbici d'oro dicendo: - Come prima prova dovrai custodire queste forbici e restituirmele domani a mezzogiorno: non è una cosa difficile, mi pare, - e intanto fece una smorfia, - ma se non ne sarai capace perderai la vita, questa è la legge; sarai giustiziato sulla ruota, e la tua testa sarà conficcata su di una picca, come quelle degli altri pretendenti che vedi lì fuori della finestra -. Tutt'intorno erano appese delle teste d'uomo, proprio come, d'autunno, le cornacchie stanno appollaiate sulle staccionate delle fattorie.

"Non ci vuol molto", pensò il ragazzo. Ma la principessa era così allegra e così piena di vita e scherzò tanto con lui da fargli dimenticare tanto le forbici che se stesso, e mentre stavano divertendosi e se la spassavano, lei riuscì a togliergli le forbici senza che lui se ne accorgesse.

Quando la sera il ragazzo salì in camera e raccontò come era andata e quel che la principessa aveva detto dandogli in custodia un paio di forbici, il compagno di viaggio gli chiese: - Hai le forbici che ti ha dato? - Lui mise allora la mano in tasca, ma non c'era nessun paio di forbici; vedendo che non c'erano più, il ragazzo si sentì morire.

- Consolati, cercherò io di ridartele, - disse il compagno di viaggio e scese nella stalla: lì c'era un grosso, enorme caprone che apparteneva alla principessa, e che poteva volare attraverso l'aria molto più velocemente di quel che camminasse sulla terra. Prese allora la spada delle tre sorelle e gliela piantò tra le corna, chiedendo: - A che ora stanotte la principessa va a trovare il suo tesoro? - Il caprone belò che non aveva il coraggio di dirlo, ma dopo un secondo colpo di spada assicurò che la principessa sarebbe venuta alle undici. Il compagno di viaggio si mise il cappello delle tre sorelle che lo rese invisibile e aspettò la principessa. Una volta venuta, lei cominciò a ungere il caprone con un unguento che teneva in un corno dicendo: - Per l'aria, per l'aria, su case e chiese, su terre e su mari, su monti e su valli, dal mio tesoro che mi attende stanotte nella montagna! - Come il caprone si mise in moto, gli si lanciò in groppa anche il compagno di viaggio; andavano per l'aria veloci come il vento; non persero davvero tempo per via. Ecco che giunsero a una montagna che sbarrava il cammino: lei bussò e così entrarono nella montagna, sino dal troll che era il suo tesoro.
- Adesso è venuto un nuovo pretendente che vuole sposarmi, amore, - disse la principessa. - È giovane e bello, ma io non voglio che te, - dichiarò, facendo un sacco di moine al troll. - Allora l'ho messo alla prova; guarda qui le forbici che avrebbe dovuto custodire e metter da parte: stacci attento tu ora! - E poi risero tutti e due a più non posso, come se già il ragazzo fosse stato sulla ruota e sulla picca.
- Sì, sì, le custodirò io, ci baderò io, dormirò fra le tue braccia, mentre il corvo beccherà del cadavere la faccia, - disse il troll mettendo le forbici in uno scrigno di ferro con tre serrature, ma proprio mentre le lasciava cadere nello scrigno, il compagno di viaggio fu pronto ad afferrarle. Nessuno poteva vederlo perché portava il cappello delle tre sorelle, e così il troll richiuse lo scrigno inutilmente e inutilmente nascose le chiavi nel buco del dente molare dove teneva le sue stregonerie: lì il ragazzo avrebbe avuto un bel cercarle, disse.

Verso mezzanotte la ragazza tornò a casa. Il compagno di viaggio rimontò in groppa al caprone, dietro di lei, e non persero davvero tempo per via.

A mezzogiorno, il ragazzo fu invitato alla tavola del re, ma la principessa lo trattò sprezzantemente ed era così bella e così altezzosa che quasi non voleva guardare dalla parte dove lui era seduto.

Finito di mangiare, la ragazza fece un viso da santarellina, diventò tenera come il burro e disse: - Hai le forbici che ieri ti pregai di custodire?
- Sì che le ho, eccole, - rispose il ragazzo; le prese e le conficcò sul tavolo con tanta forza da farlo saltare. La principessa non avrebbe potuto rimanere peggio se le avessero ficcate le forbici negli occhi! Ma fece lo stesso la bella e la graziosa e disse: - Dato che sei stato così bene attento alle forbici non ti sarà difficile custodire il mio gomitolo d'oro e starci attento: me lo ridarai domani a mezzogiorno, altrimenti perderai la vita e sarai giustiziato; questa è la legge, - dichiarò. Non era davvero una cosa difficile - pensò il ragazzo; prese il gomitolo e se lo mise in tasca. Ma lei ricominciò a scherzare e a civettare, così lui si dimenticò di se stesso e del gomitolo d'oro, e sul più bello dello scherzare e del ridere lei glielo tolse, e poi lo lasciò andar via.

Tornato in camera sua, raccontò quello che avevano detto e avevano fatto, e allora il compagno di viaggio chiese: - Hai il gomitolo d'oro che ti ha dato?
- Sì che ce l'ho, - rispose il ragazzo mettendo la mano in tasca, dove lo aveva messo; ma no, non aveva nessun gomitolo d'oro; allora si sentì di nuovo morire, non sapendo cosa fare.
- Consolati, - disse il compagno di viaggio; - cercherò di ritrovarlo, - assicurò; prese con sé la spada e il cappello, andò da un fabbro e fece aggiungere dodici libbre di ferro alla sua spada.
Arrivato nella stalla, dette un tal colpo tra le corna del caprone che quello barcollò, poi gli chiese: - A che ora stanotte la principessa va a trovare il suo tesoro?
- A mezzanotte, - belò il caprone.

Il compagno di viaggio si rimise un'altra volta il cappello delle tre sorelle e aspettò fino a che quella arrivò di corsa col suo corno pieno di unguento e unse il caprone. Poi disse, come la prima volta: - Per l'aria, per l'aria, su case e chiese, su terre e su mari, su monti e su valli, dal mio tesoro che mi attende stanotte nella montagna! - Come spiccarono il volo, il compagno di viaggio si piazzò con un salto sulla groppa del caprone, e andarono per l'aria con la velocità del vento. Ecco che arrivarono alla montagna incantata, e dopo che la ragazza ebbe battuto tre colpi entrarono e giunsero sin dal troll che era il suo tesoro.
- Come hai custodito le forbici d'oro che ti ho dato ieri, amore? - chiese la figlia del re. - Le aveva il pretendente; me le ha restituite lui, - spiegò.
- È impossibile, - disse il troll, - perché le avevo chiuse in uno scrigno con tre serrature, e avevo nascosto la chiave nel buco del mio dente molare -. Ma quando aprirono per guardare non c'era nessun paio di forbici nello scrigno. Allora la principessa raccontò di aver dato il suo gomitolo al pretendente.
- Eccolo, - disse, - gliel'ho ripreso mentre lui non ci badava, ma che cosa possiamo fare ora, con un furbone come quello?

Il troll, a dir la verità, non sapeva, ma dopo averci pensato un po' decisero di fare un gran fuoco e di bruciare il gomitolo d'oro: così avrebbero potuto star sicuri che il pretendente non sarebbe riuscito a impadronirsene. Mentre la principessa gettava il gomitolo sul fuoco, il compagno di viaggio fu svelto ad afferrarlo: nessuno lo vide, perché aveva il cappello delle tre sorelle.

Dopo esser rimasta un po' dal troll, verso mattina la principessa ritornò a casa; il compagno di viaggio si sedette con lei sulla schiena del caprone e tutto andò nel modo migliore.

Quando il ragazzo fu chiamato per il pranzo, il compagno di viaggio gli consegnò il gomitolo. La principessa era ancora più bella e più petulante dell'ultima volta, e dopo mangiato arrotondò il bocchino dicendo: - Non sarebbe una bella cosa se potessi riavere il mio gomitolo d'oro che ti ho dato in custodia ieri?
- Certamente devi riaverlo, - rispose il ragazzo, - eccolo, - disse gettandolo sul tavolo così da farlo saltare, e il re fece un balzo in aria.

La principessa diventò bianca come un cadavere. Ma poi si mostrò subito amabilissima e disse che andava bene: mancava ancora solo una piccola prova: - Se sarai così bravo da procurarmi per domani a mezzogiorno quello a cui penso mi prenderai e sarò tua, - dichiarò.

Il ragazzo si sentì come un condannato a morte, perché sicuramente non c'era modo di sapere a che cosa quella pensava, e sarebbe stato ancora più difficile procurarselo; quando fu in camera sua non era quasi possibile calmarlo. Il compagno di viaggio lo pregò di stare tranquillo: alla faccenda avrebbe pensato lui, come aveva fatto le altre due volte; così il ragazzo trovò finalmente pace e si mise a dormire.

Intanto il compagno di viaggio andò dal fabbro e fece aggiungere alla sua spada ventiquattro libbre di ferro, poi andò nella stalla e dette un colpo tale tra le corna del caprone che quello barcollò da una parete all'altra.
- A che ora stanotte la principessa va a trovare il suo tesoro? - chiese.
- All'una, - belò il caprone.

Verso quell'ora ecco il compagno di viaggio nella stalla con in testa il cappello delle tre sorelle, e quando la principessa ebbe unto il caprone e detto le solite cose, che cioè doveva andare dal suo tesoro che l'aspettava dentro la montagna, quello partì un'altra volta, attraversò l'aria e il vento, con dietro seduto il compagno di viaggio. Ma questa volta lui non ebbe davvero la mano leggera, e continuò a dare di qua e di là tali botte alla principessa che quasi la ridusse in fin di vita. Arrivati alla montagna, quella bussò, fu aperto e così entrarono e giunsero fin dal tesoro della ragazza. Una volta arrivata, essa si lamentò e si sentì male, e disse che non avrebbe mai pensato che la tempesta potesse essere così dura; che le era sembrato poi che qualcuno li seguisse, picchiando sia lei che il caprone: era certo gialla e blu in tutto il corpo, tanto brutto era stato il viaggio. Poi raccontò che il pretendente le aveva portato anche il gomitolo d'oro: come era avvenuto non lo potevano capire, né lei né il troll.

- Ma sai cosa ho pensato ora? - disse.
No, il troll non poteva saperlo.
- Sì che lo sai, - continuò lei, - gli ho detto di procurarmi per domani quello a cui pensavo, cioè la tua testa. Credi che potrà procurarsela, tesoro? - chiese la principessa carezzando il troll.
- Non lo credo, - rispose il troll; giurò e spergiurò che era impossibile, e poi rise, sghignazzò peggio di uno spettro, e tanto il troll quanto la principessa pensarono che il ragazzo avrebbe adornato la ruota e la picca, e che il corvo gli avrebbe cavato gli occhi prima che riuscisse a procurarsi la testa del troll.

Verso mattina lei dovette ritornare a casa, ma aveva paura, disse, le sembrava di essere inseguita, non aveva coraggio di viaggiare da sola, il troll avrebbe dovuto accompagnarla: sì, sarebbe andato con lei. Tirò fuori il suo caprone, ne aveva anche lui uno come quello della principessa, lo unse e lo cosparse di unguento anche tra le corna. Quando il troll fu montato in groppa, il compagno di viaggio balzò dietro di lui, e così partirono attraverso l'aria, verso la reggia. Ma lungo la strada il compagno di viaggio dette tante di quelle botte al troll e al caprone, tanti di quei colpi con la sua spada che quelli barcollavano sempre più, e alla fine stavano per cascare nel mare, mentre ci passavano sopra. Visto che il tempo era così tremendo, il troll accompagnò la principessa proprio fino alla reggia e rimase lì fuori per vederla rientrare sana e salva, senza alcun pericolo. Ma nel momento in cui lei richiuse la porta il compagno di viaggio tagliò la testa al troll, e poi andò su in camera dal ragazzo. - Ecco quello a cui pensava la principessa, - dichiarò.

Così andava bene, naturalmente: il ragazzo fu invitato a pranzo e, quando ebbero finito di mangiare la principessa era dolce come una allodola.

- Hai quella cosa a cui pensavo? - chiese.
- Certo, - rispose il ragazzo. La tirò fuori da sotto le falde della giacca e la gettò sul tavolo, facendo rovesciare tutto il servizio dei piatti. La principessa restò come se l'avessero seppellita, ma non poté negare di aver pensato proprio a quella: adesso avrebbe potuto sposarla, come gli aveva promesso. Così si festeggiarono le nozze con grandi bevute, e ci fu una immensa gioia per tutto il regno.

Ma il compagno di viaggio prese da parte il ragazzo e gli disse che durante la notte nuziale doveva chiudere gli occhi e far finta di dormire; se però aveva cara la vita e voleva obbedirgli, non doveva addormentarsi sul serio prima di aver tolto di dosso alla principessa la pelle di troll: gliela avrebbe dovuta togliere a suon di vergate, con un fascio di nove verghe fresche di betulla, poi avrebbe dovuto strappargliela via del tutto in tre tinozze piene di latte, prima fregandola ben bene in una tinozza piena di siero di latte acido, poi strofinandola nel latte rappreso e alla fine risciacquandola in una tinozza di latte fresco; le verghe stavano sotto il letto, e le tinozze le aveva messe in un angolo: era pronto tutto. Il ragazzo promise di ubbidirgli, e lo fece anche.

Coricatisi la sera nel letto nuziale, il ragazzo fece finta di mettersi a dormire. Allora la principessa si rizzò sul gomito e guardò se era addormentato e gli fece solletico sotto il naso. Il ragazzo continuò a dormire. Allora lei gli tirò i capelli e la barba. Ma lui dormiva come un ciocco, sembrava. Allora tirò fuori da sotto il cuscino un grosso coltello da macellaio per tagliargli la testa. Ma il ragazzo balzò in piedi, le tolse il coltello di mano e la afferrò per i capelli. Poi la frustò con le verghe, e continuò fino a che furono consumate tutte. Fatto questo, la gettò nella tinozza piena di siero, e allora vide che bestia era: era nera come un corvo in tutto il corpo, ma dopo averla fregata ben bene nel siero, frizionata nel latte rappreso e risciacquata nel latte fresco, la pelle di troll se ne era andata, e lei diventò così dolce e così bella, così bella come non era mai stata prima.

Il giorno dopo il compagno di viaggio disse che sarebbero dovuti partire. Il ragazzo era pronto, e anche la principessa, perché il corredo era stato preparato da un pezzo. La notte il compagno di viaggio portò alla reggia tutto l'oro, l'argento e le altre ricchezze che il troll aveva lasciato nella montagna; al momento di partire, la mattina, la reggia era così piena che quasi non potevano passare: quel corredo valeva più di tutto il paese e di tutto il regno del re, e non sapevano come fare per portar via ogni cosa. Ma il compagno di viaggio pensò a tutto. Il troll aveva lasciato sei caproni capaci di volare per l'aria. Lui li caricò tanto d'oro e d'argento che erano costretti a camminare, non potendo sollevarsi a volo, e quello che i caproni non riuscivano a portare dovette essere lasciato nella reggia. Cammina cammina, e poi cammina ancora, alla fine i caproni furono così stanchi e così senza fiato che non ce la facevano più. Il ragazzo e la figlia del re non sapevano cosa fare, ma quando il compagno di viaggio vide che non potevano andare più avanti, prese lui stesso tutto il corredo sulla schiena, ci mise sopra i caproni e li portò fino a poco più di mezzo miglio dalla casa del ragazzo. Allora gli disse: - Adesso devo lasciarti: non posso restare più a lungo con te -. Ma il ragazzo non voleva lasciarlo andare, non voleva perderlo, né per poco né per molto. Allora il compagno di viaggio lo accompagnò per un altro mezzo miglio, ma poi non poté proseguire di più; il ragazzo pregò e insisté perché andasse a casa sua e restasse con lui, o almeno accettasse di bere insieme a suo padre la birra del benvenuto, ma lui rispose di no, che non poteva.

Allora il ragazzo gli chiese cosa voleva per tutto il tempo che era stato con lui e per l'aiuto che gli aveva dato.

Se gli faceva piacere ricompensarlo in qualche modo, doveva tenergli da parte la metà di quello che avrebbe avuto nei prossimi cinque anni, disse.
D'accordo.
Quando se ne fu andato, il ragazzo lasciò lì tutte le sue ricchezze e si diresse verso casa con la slitta vuota. Poi fecero festa e bevvero la birra del benvenuto, tanto che se ne parlò e riparlò in sette regni.

Una volta terminati i festeggiamenti, ebbero da fare per l'intero inverno con i caproni e con i dodici cavalli del padre per portare a casa tutto l'oro e tutto l'argento.

Passati cinque anni, tornò il compagno di viaggio per avere quel che gli spettava. L'uomo aveva già spartito tutto in due parti uguali.
- Ma c'è una cosa che non hai diviso, - disse il compagno di viaggio.
- Cosa? - domandò l'uomo, - pensavo di aver spartito tutto.
- Hai avuto un bambino, - disse il compagno di viaggio, - devi dividere in due anche quello.

Era vero. Prese la spada, ma proprio nel momento in cui l'aveva alzata e stava per colpire il bambino, il compagno di viaggio afferrò la punta dal di dietro, così che non poté lasciar andare il colpo.

- Non sei felice di non aver potuto lasciar andare il colpo? - chiese poi.
- Non sono mai stato tanto felice, - rispose l'uomo.
- Così felice sono stato io quando mi hai liberato dal blocco di ghiaccio, - disse. - Tieni pure tutto quello che hai, io non ho bisogno di nulla, perché sono un puro spirito, - spiegò.

Era lo sturatore di botti che avevano messo nel blocco di ghiaccio davanti alla chiesa, e tutti ci sputavano sopra: gli aveva fatto da compagno di viaggio e lo aveva aiutato in segno di gratitudine per quel che aveva speso per farlo riposare in pace, e in terra benedetta. Aveva avuto il permesso di seguirlo per un anno, e l'anno era scaduto quando si erano lasciati. Aveva poi avuto il permesso di vederlo un'altra volta. Ora però dovevano dividersi per sempre, perché suonavano per lui le campane del cielo.


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Indice

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"Volpe Rossa e Ceneraccio"
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