C’era una volta un uomo che andò nel bosco per tagliare dei tronchi d’albero che gli dovevano servire da pali. Ma non trovava mai un bosco che fosse grande abbastanza, con gli alberi abbastanza dritti e abbastanza fitti, e così giunse su di un pendio, ai piedi di una pietraia. Sentì allora grida e lamenti, come di qualcuno in pericolo di vita. Andò subito a vedere cosa succedeva, se c’era bisogno d’aiuto, e sentì che le grida venivano da sotto un gran lastrone nel mezzo della pietraia: era così pesante che ci sarebbero voluti molti uomini per sollevarlo. L’uomo però tornò giù nel bosco, tagliò un albero, ne ricavò una stanga, e con quella riuscì ad alzare il lastrone.
Di là sotto saltò allora fuori un drago che avrebbe subito voluto divorare l’uomo. – Bella cosa, - disse quello, - io ti ho salvato la vita e tu in cambio del disturbo mi vuoi divorare: è un’ingratitudine veramente vergognosa, - dichiarò.
- Può darsi, - disse il drago, - ma devi sapere che ho fame; son stato là sotto cento anni senza mangiar carne; d’altra parte, questa è la solita ricompensa del mondo.
L’uomo fece un bel discorso, pregandolo di volerlo risparmiare, e così rimasero d’accordo che avrebbero preso come arbitro il primo che passasse di lì: se fosse stato di parere diverso l’uomo avrebbe avuto salva la vita, ma in ogni caso contrario il drago avrebbe potuto mangiarlo.
Il primo a venire fu un vecchio cane che scendeva lungo il margine del bosco. Allora lo chiamarono e gli dissero di far lui da arbitro.
- Dio sa se ho servito fedelmente il mio padrone da quando ero cucciolo, - disse il cane. - Ho vegliato molte notti e molte ore mentre quello se la dormiva tranquillamente, ho salvato più di una volta la sua fattoria e tutti i suoi averi dal fuoco e dai ladri; ma ora, che non posso più né vedere né sentire, vuol tirarmi una fucilata: son costretto a fuggire, ad andarmene di fattoria in fattoria a mendicare un po' di cibo, fino a che non morirò di fame. Questa è la solita ricompensa del mondo! - concluse il cane.
- Quando è così ti mangio! - disse il drago, pronto a divorare l'uomo in un boccone.
Ma quello fece un altro bel discorso e supplicò con tanta insistenza che alla fine si misero d'accordo che il primo a passare avrebbe fatto da arbitro: se fosse stato d'accordo con il drago e con il cane, il drago avrebbe potuto mangiarlo e saziarsi così di carne umana, ma in caso contrario l'uomo avrebbe avuto salva la vita.
Giunse allora un vecchio cavallo, che scendeva per la strada al margine del bosco. Lo chiamarono subito, dicendo che avrebbe dovuto giudicare lui la questione. Quello acconsentì.
- Ho servito il mio padrone fino a che son stato capace di tirare un carro e di portare un carico, - disse il cavallo, - ho faticato e penato per lui tanto che il sudore mi cadeva da ogni pelo, ho sempre lavorato fino ad aver le membra rigide ed esser tutto malandato per la fatica e per la vecchiaia: ora che non sono più buono a niente, adesso che non servo per la monta mi vuol tirare una fucilata, dice. Questa è la solita ricompensa del mondo! - concluse il cavallo.
- Quando è così ti mangio! - esclamò il drago spalancando le fauci più che poteva per ingoiare l'uomo.
Quello lo scongiurò un'altra volta di risparmiarlo.
Ma il drago voleva assolutamente sgranocchiare un po' di carne umana, e dichiarò che aveva tanta fame da non riuscire più a frenarsi.
- Guarda, sta arrivando uno che sembra mandato apposta per far da giudice, - disse l'uomo. Tra le pietre del pendio stava scendendo, con aria sorniona, Mikkel la Volpe. - Non c'è due senza tre, - disse l'uomo. - Domandiamo anche a lui: se sarà del parere degli altri potrai mangiarmi seduta stante.
- Va bene, - rispose il drago. Non c'è due senza tre, lo sapeva anche lui, e perciò fu d'accordo.
L'uomo fece alla volpe lo stesso discorso che aveva fatto agli altri due. - Ho capito, - rispose quella, e poi prese da parte l'uomo.
- Cosa mi dai se ti libero dal drago? - gli sussurrò in un orecchio.
- Ti lascerò venire a casa mia a far da padrone con le galline e le oche tutti i giovedì sera, - promise l'uomo.
- Qui occorre ricostruire i fatti, mio caro drago, - disse la volpe, - non riesco a capire come mai tu, che sei un animale così grande e così potente, potevi startene lì sotto quel lastrone.
- Certo, - rispose il drago, - io me ne stavo lassù a prendermi il sole quando c'è stata una frana, e quel lastrone mi è caduto addosso.
- È possibile, - commentò Mikkel, - ma io non riesco a capire, e non potrò crederci se non lo vedrò con i miei occhi, - continuò.
Potevano provare, propose l'uomo, e così il drago si rimise nella buca. In quel momento l'uomo tolse la stanga, e il lastrone ripiombò sul drago.
- Resta lì sino al giorno del giudizio, - disse la volpe: - non volevi divorare il tuo salvatore? - Il drago gridò, si lamentò e pregò, ma i due se ne andarono per la loro strada.
Il primo giovedì, la volpe pensò di poter spadroneggiare nel pollaio, e si nascose dietro una catasta di pali che stava lì. Quando la sera la ragazza andò a dar da mangiare alle galline, Mikkel sgusciò dentro. Lei non se ne accorse e andò via senza vederlo, ma era appena uscita che la volpe aveva già ammazzato galline per otto giorni; ne mangiò tante e poi tante che non fu più capace di muoversi. Quando tornò la ragazza, la mattina, la volpe dormiva e russava al sole con le quattro zampe all'aria, tesa e gonfia come una salsiccia.
La ragazza si affrettò a chiamare la padrona, poi corse lì assieme a tutte le altre ragazze, con pali e stanghe e subito cominciarono a battere Mikkel tanto da ridurlo in fin di vita: stava già per lasciarci la pelle, e quelle pensavano che ormai fosse spacciato, quando trovò invece un buco nel pavimento, ci si ficcò dentro, riuscì a saltar fuori dall'altra parte e a tornarsene zoppicando nel bosco. - Ahi, ahi, questa è la solita ricompensa del mondo, è proprio vero! - disse Mikkel.
|